Hastinapura

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La percezione italiana dell’Africa è molto imprecisa. Per noi l’Africa è l‘Egitto, la Libia e la Tunisia. Dell’Algeria non si parla mai, il Marocco fa simpatia. Il resto è notte nera. Vediamo per le nostre strade Senegalesi, Congolesi, Ivoriani, Kenioti, Nigeriani, ma per noi sono tutti la stessa cosa: persone di colore, immigrati, venditori di stracci, accendini e fazzoletti di carta, pulitori di vetri e così via. Cosa ci sia dietro di loro, da quali Paesi provengano, cosa accada realmente in Africa, non c’interessa. Al massimo, qualcuno più smaliziato ci parla di safari.

L’Africa, invece, è un gigantesco problema con il quale dobbiamo e dovremo fare tutti i conti. È un continente immenso con una superficie, pari ad oltre 30 milioni di km quadrati, il 20,3% delle terre emerse del pianeta, con oltre un miliardo di abitanti, quattro fusi orari, un settimo circa della popolazione mondiale, più di un migliaio di lingue, con centinaia di differenti etnie distribuite in modo non omogeneo fra 54 Stati diversi.

Questo continente è straziato dalle guerre e dalla fame. In Sudan si combatte da cinquant’anni con tre milioni di profughi in Paesi che, economicamente, stanno peggio dei due Stati del Sudan che si combattono fra loro: il Sudan, propriamente detto, ed il Sud del Sudan, di fresca nascita.

In Costa d’Avorio, che è il Paese francofono più evoluto, il vero motore dell’economia africana, le rivolte dei militari si susseguono da una settimana ad un’altra. In Nigeria, c’è una guerra civile endemica fra lo Stato centrale e le popolazioni del suo delta. Dodici milioni di persone, in Somalia ed in Etiopia sono ai limiti della sussistenza alimentare. C’è la fame, quella vera, non l’appetito prima d’andare al ristorante. Se non si soccorrono, moriranno d’inedia, di sete e di fame.

L’Eritrea soffoca sotto un regime progressista, naturalmente illiberale, che si regge con la polizia, l’esercito e la miseria. Non parliamo del Niger, uno scatolone di sabbia grande come mezza Europa, con quasi dieci milioni di abitanti, governato, si fa per dire, da un regime militare democraticamente eletto. Occorre essere “democratici” perché, in caso contrario, non arrivano i fondi internazionali per sfamare la gente.

In Somalia si susseguono ogni settimana attentati sanguinosi. Il governo locale è impotente a frenare gli eccidi fra bande, e nessun occidentale vuole andare in Somalia. È un Paese off limits.

La Nigeria è in un costante stato di guerra civile, al nord con le bande filo jiadhiste, a sud con le popolazioni del delta. Il Paese africano più popoloso non riesce ad esprimere né una politica interna né una politica estera capace di esercitare un ruolo significativo nel continente.

Ogni anno l’Africa sforna almeno dieci milioni di bambini. A questo ritmo, ad ogni decennio ci sono altri cento milioni di bocche da sfamare. Il 60% della popolazione africana è sotto i venticinque anni. In queste condizioni, dove andrà tutta questa gente se a casa sua non trova lavoro e non riesce a mangiare?

In cambio di tutto ciò, dice il nuovo Segretario generale delle Nazioni Unite, Gutierrez, ogni anno escono illegalmente dall’Africa sessanta miliardi di dollari. E’ come se si succhiasse il sangue a un moribondo.

La Cina si era illusa di potersi inserire nel continente, ma la crisi ha rallentato il suo interesse. La Francia non può sostenere i Paesi francofoni e l’America è sempre più lontana, specie ora con Trump. Solo l’Europa è a un passo, grassa ed inerte.

Dell’Africa non si occupa nessuno, tranne gli speculatori ed i santoni del buonismo, ma l’Africa non ha bisogno di loro. Avrebbe bisogno di una classe dirigente onesta, che invece manca quasi dappertutto. Avrebbe bisogno d’investimenti infrastrutturali e non al solo servizio delle multinazionali minerarie o petrolifere. Avrebbe bisogno di cultura moderna, non necessariamente occidentale, ma formando una classe di formatori dei giovani, che non esiste, stanziando risorse adeguate per l’insegnamento e l’addestramento professionale, a partire dal settore agricolo.
Tutto ciò non c’è. Decenni di cooperazione allo sviluppo hanno sprecato miliardi di dollari inseguendo il fantasma della democratizzazione per lo sviluppo dei popoli africani. È stato un fallimento totale.

La questione fondamentale è se questo continente può continuare ad essere abbandonato a se stesso. Qualcuno potrebbe sostenerlo, ma è il continente stesso che si sta risvegliando, cercando un approdo diverso. Se noi non andiamo più da loro, loro vengono da noi, attratti dal miraggio di un benessere che in Africa è impensabile.
L’Europa erige muri per difendere se stessa ed è pronta a pagare se i Paesi africani del Mediterraneo sono disposti ad erigere a loro volta muri contro l’emigrazione. Paghiamo perché facciano il lavoro sporco per noi. Ma non è una soluzione né etica né politica a lungo termine.

È anche facile continuare a dire che un eventuale intervento europeo dovrebbe farsi in loco. È così facile che tutti i politici europei, una volta tanto, sono d’accordo su questa cosa che non esiste, perché mancano gli interlocutori locali. Lo vediamo in Libia, ad esempio, dove ci sono almeno tre governi in lotta fra loro.
Milioni di profughi dalle guerre, dalle malattie e dalla fame premono alle frontiere, a qualunque frontiera che si opponga loro. La sfonderanno, perché è una marcia silenziosa ed inarrestabile.
Ecco perché occorre affrontare il problema. Rispetto alle dimensioni del fenomeno africano, le provincie filorusse dell’Ucraina o la provincia siriana del Nord sono bazzecole. Certo, oggi i profughi che premono nell’est sono in maggioranza siriani, ma è il fianco sud dell’Unione europea che sta per cedere. Non si possono erigere muri in mezzo al Mediterraneo. Non ci riuscirebbe neppure Trump.

Occorre una grande conferenza internazionale per affrontare alla radice la questione africana, disporre di risorse e di poteri adeguati per determinare in loco un’inversione di tendenza. Qualcosa di simile ad un Piano Marshall, tenendo conto delle fragili strutture di quei Paesi. Un compito difficilissimo, ma senza alternative.

L’Italia, se ci fosse, dovrebbe occuparsi in via prioritaria di questo problema di politica estera, un problema che è diventato strutturale, certamente politico ma, soprattutto, umanitario. L’Italia è il Paese più interessato a cercare di porre rimedio a questa situazione. Non potremo all’infinito accogliere emigranti che di là delle Alpi nessuno vuole. La soluzione va cercata assieme ai nostri partners, non con iniziative spot: del tipo: ti do un po’ di soldi e tu fermi gli emigranti. Pagheremmo sempre di più e l’esodo non sarà arrestato. Anzi, diventerà travolgente. Ma c’è l’Italia?

Mal d’Africa
(di Diplomaticus)

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La proposta:

Costituire un gruppo di lavoro di confronto tra le parti
dal titolo:
Osservatorio Africa

Il gruppo organizza i convegni dal titolo
"L'Africa, questa sconosciuta"
dove
le Istituzioni avranno la possibilità di esprimere le loro linee d'azione,
i Corpi diplomatici dei 54 Stati africani di presentarsi,
gli Operatori economici di esplorare nuove opportunità,
il Mondo Accademico di far conoscere i propri lavori.


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